A dire il vero ero uno scrittore in erba e l’erba me l’ero bruciata tutta: piegato sulla tazza, in croce sul pavimento, orizzontale sul materasso. Ero squattrinato, con i peli del naso stressati. Per cominciare andava bene.
Niente male.
Mi tiravo su.
Tutto o.k.
Avevo solo bisogno di una storia prima che un figlio di puttana qualunque mi fottesse il personaggio giusto. Uno che non scivolasse tra il banale Antonio ed il comune Rossi: l’Arturo Bandini di Chiedi alla polvere, l’Hanry Chinaski di Hollywood, Hollywood. Roba che con quel nome gli editori mi avrebbero riso in faccia.
Mancava l’ironia sotto il nome, un po’ di cinismo nella disperazione.
Ad Ostia Mare suonavano i Flaminio maphia. Bell’idea per il personaggio, peccato fosse di qualcun altro.
Erano tempi duri nella mia stanza.
Misuravo i buchi del soffitto: tarme, ragni, mosche, tapparelle; le unghiate di Marta sull’uccello.
Uno studio interessante.
Lavoravo di testa, sfidavo i muri. Crepe, mattoni, cemento armato.
Dunque, aspettavo una storia che mi pugnalasse. Ghiaccio incandescente. Da qualche parte doveva piovermi nel petto e sventrarmi.
Ci voleva pazienza, perseveranza, il coraggio di starsene sdraiati a fumare e ammazzare l’attesa prima che ti finisse lei.
Ero un fottuto artista e lo sapevamo solo io e Dino. Questo era importante. Fondamentale.
Ci sapevo fare.
Avevo il mix giusto. Esplosivo.
Avrei sfondato.
Dino vomitava rum e tequila.
Patetico.
A volte l’alcool mi disgustava.
Per fortuna arrivò Marta.
Quella vera.
Carne e ossa.
Le stelle danzavano un lento dolcissimo al chiaro di luna.
Noi due a piedi nudi, nudi: ferri rugginosi sbatacchiati qua e là dalle onde. Polpi corrosi. Stretti a galla. Spuma e sale.
Ad Ostia mare tra sabbia, mozziconi di sigarette, fanghiglia acquitrinosa, polvere di luna e conchiglie, troneggiava un residuo bellico.
‘For your children’: bomba tedesca griffata a svastica con dedica americana.
Io e Marta eravamo un’eccezione.
Quella sera, cominciò a nascere e morire un lui o una lei. Quella sera, cominciò a nascere e morire qualcosa o qualcuno.
…Chiudi gli occhi nei miei e con un bacio incendiami l’anima. Qui dove il secolo è il battito e il battito è un unico respiro. Un ponte tra noi. Due corpi in uno. Carezza eroina.
Marta era una dritta. Dipingeva col corpo. Tele, pareti, il mio ventre. Lei non immaginava i buchi neri e i vortici, i puntini viola in volo schizzinoso nella mia stanza. Serpenti, o lividi, denti aguzzi di squalo, pesci spolpati, branchie scoppiate in aria, spine ficcate negli occhi: lì, dove tutto è blu.
Liquido.
Denso.
Piatto.
Notte, più che mare.
Lei non intuiva.
Il battito dell’orologio.
L’ora ferma.
Lo stop.
Prese dei colori anche per me. Rosso scuro, pece soprattutto. Pochi, però.
Troppo stretta e angusta la mia stanza, per poterla colorare…
A Marta non piacevano le cose scontate. La divertivano il sottosopra, mostri e sangue, schiene curve, unghie e graffi, candele sciolte, dischi di vinile: acid house.
L’inferno, prima della morte boia. Scintille d’ossa. Furia animale. O noia.
Io non sopportavo le tipe normali.
L’orgia cristiana del bla bla bla.
Andavamo d’accordo io e Marta.
Niente da dire.
Ci pigliavamo.