a cura della Dott.ssa Ilaria Maugliani
In un periodo in cui l’emergenza sanitaria da Covid-19 stravolge la nostra quotidianità, costringendoci a sperimentare l’isolamento forzato, la nostra condizione si avvicina alla “normalità” quotidiana vissuta dai pazienti nelle case di cura. Disorientati dalla loro malattia, gli “alienati”, come vennero chiamati da Théodore Géricault nei suoi ritratti di inizio Ottocento, faticano ad accettare le nuove misure di sicurezza; il distanziamento sociale, l’igiene e le mascherine sono provvedimenti inconciliabili con le loro patologie.
Inoltre, durante la pandemia e il lockdown, i ricoveri di persone in stato di agitazione, provenienti da ambienti non protetti, con comportamenti ad alta reattività emotiva, comportano rischi non soltanto per la salute degli infermieri, ma per l’intero reparto. Tamponi e costanti controlli sono la regolarità per
scongiurare la comparsa di eventuali contagi. D’altra parte, il rischio di contrarre il virus non è l’unica problematica che i degenti delle RSA devono affrontare: un drastico peggioramento della salute, fisica e mentale, la concomitanza di uno stato di solitudine (sensazione soggettiva di essere disconnessi dalla società, di non avere affetti vicini) e di un isolamento sociale (condizione oggettiva di distanziamento), sono costanti ormai. I pazienti vivono effettivamente la loro quotidianità nell’emarginazione e nella quarantena che ormai dura dal 2020e che ha avuto maggiori ripercussioni sulle loro vulnerabilità. Trovando conforto solo nei troppo sporadici rapporto con i familiari, con gli altri degenti o navigando sui social network, i servizi Sociali in questa fase hanno così svolto un ruolo decisivo nella sopravvivenza dei soggetti affetti da disturbi psichici.
Tuttavia, non sono presenti solo le limitazioni sopra elencate ad aggravare la qualità di vita di queste persone, ma anche gli effetti collaterali degli psicofarmaci influenzano drasticamente la loro capacità di adattamento.Lasciati nel silenzio, ulteriormente isolati, gli alienati trascorrono le giornate non solo combattendo contro un nemico invisibile, ma anche contro l’indifferenza di chi nelle Case di Cura invece di alleviare le loro sofferenze con l'affetto dei familiari, li costringe a essere reclusi nei reparti per carenza di personale.
Dall’inizio della pandemia da Covid-19, migliaia di persone anziane hanno perso la vita e la loro dignità all’interno delle strutture di residenza sociosanitarie e socio-assistenziali in tutta Italia, dove il personale sanitario e sociosanitario a loro dedicato ha spesso subito ritorsioni e misure disciplinari per aver denunciato le condizioni lavorative precarie, estenuanti e insicure.
Dall’estate 2020, Amnesty International si è dedicato a svolgere delle ricerche specifiche sui diritti delle persone anziane ospiti e di lavoratori e lavoratrici impiegati nelle strutture sociosanitarie residenziali.
Il primo rapporto, Abbandonati, lanciato a dicembre 2020, ha rilevato che nel rispondere alla pandemia le autorità nazionali e locali non sono riuscite ad adottare misure cruciali e tempestive per proteggere la vita e i diritti degli anziani nelle residenze socio sanitarie, già caratterizzate da criticità strutturali profonde nella fase pre-pandemica.un secondo rapporto di Amnesty lanciato a ottobre 2021, ha invece analizzato le ritorsioni e provvedimenti disciplinari, incluso il licenziamento, subiti dal personale sanitario e sociale delle “strutture” solo per aver denunciato presunte irregolarità sul posto di lavoro o preoccupazioni per la propria sicurezza o per quella degli ospiti anziani.Il briefing fa anche luce sulle preoccupazioni relative alle condizioni lavorative fortemente precarie per lavoratrici e lavoratori del settore sociale, in cui l’arrivo del Covid-19 ha esacerbato criticità strutturali di lunga durata.
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