a cura del Prof. Enrico Capo
Casta e Comunità professionale
Casta professionale caratterizza quei mestieri che hanno una elevata considerazione riguardo a sé stessi: data l’importanza delle proprie caratteristiche e per la fama di cui beneficiano nel mondo esterno; e che nel contempo godono (o credono di godere) di privilegi particolari in quanto – appunto – sono e si sentono una casta. Nel contempo, la Comunità professionale è maggiormente orientata verso lo sviluppo sia qualitativo che umano dei suoi membri, verso un’atmosfera di collaborazione e di reciproco aiuto nella crescita individuale e collettiva, nel sentirsi infine comunità come risultato finale della reciproca convivenza.
E’ naturale quindi che in questo particolare clima nascano spontanee aggregazioni di Colleghi, che a livello puramente volontaristico si lancino verso innovazioni ma anche invenzioni professionali aventi spesso caratteristiche del tutto utopiche, ma che diventano sperimentali grazie alla determinazione ed alla costanza dei suddetti pionieri.
Questo è il brodo di coltura dal quale scaturisce il CONASP, nello spirito tra l’altro della Legge 328/2000, “Legge-Quadro per la realizzazione del sistema integrato di Interventi e servizi sociali”: conosciuta anche come Legge della dignità sociale. La sigla CONASP si espande con la seguente specificazione: Coordinamento Nazionale per la Promozione Culturale del Servizio Sociale d’Urgenza e del Pronto Intervento Sociale.
Il fattore “K”
Ho sempre in mente il pulmino parcheggiato davanti alla sede della Cooperativa Sociale con la quale collaboravo tempo fa, con il muso rivolto all’esterno per partire senza dover fare la retromarcia, attrezzato tra l’altro con un lettino ed una scrivaniola e recante una scritta ben visibile sulla fiancata: SPIS – SERVIZIO DI PRONTO INTERVENTO SOCIALE. Ricordo anche il/la Collega in paziente attesa, in sede, di una eventuale telefonata notturna d’emergenza che avrebbe scatenato il predisposto piano di intervento. Con queste vivide immagini dinnanzi ai miei occhi, vorrei approfondire alcuni particolari messaggi contenuti nel logo del CONASP. Inizio con quello che io chiamo il fattore K, dove il “K” sta per Kultur in tedesco e Cultura in italiano.
Ecco, il concetto di promozione culturale del Servizio Sociale d’Urgenza e del Pronto Intervento Sociale qualifica subito il tipo di iniziativa ipotizzato e lo distingue immediatamente dalla telefonata al distributore di benzina più vicino, allorquando si è scoperto un irrimediabile buco nel serbatoio del carburante della propria auto. Si tratta dunque prima di tutto di un atteggiamento interno prima ancora di un comportamento esterno. Viene in mente al riguardo la parabola evangelica del Buon Samaritano.
Questo atteggiamento può sembrare poca cosa, ma dobbiamo ricordarci che nei secoli passati il pulmino di cui sopra non esisteva perché le persone con problematiche notturne erano considerate poco più che spazzatura. Ed in epoche più recenti (vedi ad esempio il ventennio fascista) il vagabondaggio notturno – ad esempio – era considerato come un problema di sicurezza pubblica: il soggetto quindi che oggi richiederebbe l’intervento dello SPIS era considerato un individuo senza volto e non una persona con una propria dignità e con sue caratteristiche precipue.
Ma il fattore K ci coinvolge anche in molteplici ulteriori implicanze, che – guarda caso – troviamo già enunciate nel nuovo Codice Deontologico della nostra Professione, ben noto a tutti i Colleghi.
Emergenza e Deontologia
Proseguendo in questa nostra caccia al pelo nell’uovo nei reconditi meandri del contenuto della sigla CONASP, constatiamo - forse con stupore - che diverse modalità specifiche differenziano il pronto intervento medico-sanitario da quello sociale, ed inoltre quest’ultimo dall’intervento delle Pantere della Polizia e delle Gazzelle dei Carabinieri.
Per spiegarmi meglio, non è competenza del pronto intervento sociale constatare lo stato di salute dell’infortunato nello specifico momento in cui interviene l’ambulanza nonché ricostruire la sua anamnesi particolare; non deve limitarsi nemmeno ad individuare i precedenti penali di chi è capitato sotto la lente di ingrandimento delle Forze dell’Ordine. Il pronto intervento sociale invece deve fin dall’inizio cercare di scoprire la motivazione, la causa di fondo che ha portato il soggetto a drogarsi (per esempio) fino a cadere privo di sensi sul marciapiede. Tutto ciò perché tra l’altro dal pronto intervento sociale deriverà un ricovero ospedaliero, o l’arresto per spaccio di droga, od il collocamento in una struttura specializzata, od altro intervento. Ed infine il pronto intervento sociale non può assolutamente assomigliare al cosiddetto triage che si effettua in un Pronto Soccorso Ospedaliero. E, per concludere, detto pronto intervento non può essere omologato alla raccolta della immondizia, sia pure differenziata…
Quanto finora esaminato ci porta dunque ad una unica conclusione. Qualunque sia la strutturazione e l’organizzazione di uno SPIS (in soldoni: chi comanda…), la figura altamente professionale dell’Assistente Sociale risulta indispensabile: non tanto come comparsa, non solo come professione-immagine, certamente non come l’equivalente del “ragazzo, spazzola!” dei barbieri di una volta: bensì come uno specialista dell’intervento immediato. E, si noti bene, prima di tutto come motivazione (come sottolineato in precedenza), da cui deriverà poi la scelta meditata, e non dilettantesca o frutto di una emozione immediata, dell’intervento più adeguato; nel rispetto cioè della persona in difficoltà e non certo della rispondenza della situazione ad una casistica scientificamente classificata, ma del tutto disanimata.
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