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Il post pandemia sarà un’emergenza maggiore della pandemia stessa? di Alberto Giuliari



Il servizio sociale territoriale è un servizio di pronto intervento? In teoria no, l’assistente sociale referente per un comune non dovrebbe occuparsi, o affrontare, problemi in emergenza. Ma purtroppo non è così. Non tutti quelli che ricevono uno sfratto, e non sanno dove andare, si rivolgono al servizio in tempi che consentano di vagliare le soluzioni e attuarle. Non tutti quelli che assistono un malato in casa si rendono conto di quando “non ce la fanno più” e crollano nel momento meno opportuno. Quasi nessuno può prevedere il giorno della sua morte e i familiari, in situazioni già precarie, si ritrovano senza il sostegno dell’unico che riusciva a gestire le cose. Esistono nuclei familiari composti da persone che hanno tutte delle fragilità, ma che insieme, in modi che non si possono immaginare, riescono a sostenersi e a gestirsi: quando uno solo viene a mancare il sistema crolla coi tempi di un’emergenza.

Purtroppo il Pronto Intervento Sociale (P.I.S.), previsto nell’art. 22 della Legge 328/2000, non è una realtà diffusa. Sebbene sia un LEA.

Perché non è stato adeguatamente introdotto ovunque? Lo si è pensato, ma non se ne è avvertito il bisogno? Chiunque lavori in un servizio territoriale ha ben presente quanto sia davvero necessaria una realtà di questo tipo soprattutto in questo momento.

Il problema è che quando si supplisce ad un problema, magari anche non nel modo adeguato, quel problema in qualche modo esce dai “radar” di chi dovrebbe preoccuparsi dell’attivazione di servizi di questo tipo. Il problema è che nella “natura” di un’assistente sociale fare quanto è possibile per risolvere i problemi, anche quando quei problemi non ci competono, anche quando non abbiamo gli strumenti per farlo. Quante colleghe e colleghi “bruciano” la loro esperienza lavorativa perché affrontano problemi più grandi di loro? Attualmente le emergenze arrivano e rimangono per la gran parte nei servizi sociali di base. È un problema di organizzazione, ma è anche un problema di “cuore”, di professionisti che “non accettano quando non sono in grado di…”. Se il problema di giudizio sull’operato di ciascuno è irrisolvibile, soprattutto perché colleghe e colleghi comunque non saprebbero a chi affidare le emergenze, il tema della consapevolezza politica del problema si può risolvere se, con un po’ di furbizia (che non ci è propria), si saprà approfittare del momento contingente per porre il problema a chi ha il potere per risolverlo.

Il momento sarà certamente opportuno per favorire la crescita di una mentalità diversa. La pandemia ha mostrato le criticità del sistema sanitario, il post-pandemia evidenzierà sicuramente le criticità del sistema sociale.

Durante la pandemia gli sfratti sono stati sospesi e grazie ai decreti del governo si sono utilizzati contributi che “a pioggia” hanno in qualche modo silenziato le maggiori criticità del sistema. Ma adesso gli sfratti riprenderanno e i soldi finiranno. I pazienti di psichiatrie e SerD torneranno a farsi sentire prepotentemente dopo due anni in cui sono stati prevalentemente seguiti “telefonicamente”. Gli adolescenti hanno pagato il costo più alto, durante il lockdown, e le loro problematiche si stanno presentando con il carattere di urgenza, tra l’altro in un periodo in cui i servizi a loro dedicati sono ridotti all’osso e su fasce della popolazione che non sono neanche abituate a pensarsi come problematiche. Infine la crisi di personale nelle RSA porterà una ricaduta sul territorio con effetti imprevedibili.

Il tema della definizione di domiciliarità diventerà determinante.

Il governo pensa di puntare sulla domiciliarità ed è evidente che non ha intenzione di investire sulla residenzialità, la sta quasi osteggiando. Che sia un bene o un male credo non sia il tema di chi è abituato a “personalizzare l’intervento”. Di certo c’è che le risorse saranno indirizzate alla domiciliarità, ma quale domiciliarità?

È il momento per sottolineare che domiciliarità non può significare solo “gestione” di situazioni stabili, ma anche “affrontare” situazioni assolutamente instabili. Se la politica pensa che territorio significhi solo SAD o SED è il caso che chi si occupa del tema faccia sentire la sua voce.

Adesso che il gioco si farà sicuramente duro, sarebbe ora che i duri cominciassero a giocare.

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